La Luna Blu


La Luna Blu
Per il concorso letterario "Riflessi sul Lago 2018"







Un gabbiano volava sul profilo nebbioso del lago. All’improvviso s’impennò, lasciando che l’acqua lo attirasse a sé. In un istante scomparve nel blu.
Lo specchio pigro frangeva il riflesso d’un cielo plumbeo in lame pallide e il vento della sera scuoteva le dita avvizzite dell’immenso ippocastano. Nel canale le folaghe gridavano, stringendosi l’una all’altra come suore in processione per affrontare la corrente.
«Quanto manca?».
«È presto, ancora: dovremo aspettare».
Sotto lo sguardo della fortezza sbarrata s’era radunata una gran folla variegata: ragazzini, nobili e gitane, pure una bambina che alla radice del grande albero cercava riparo dal vento. Nonostante la diversità, li accumunava il fatto d’esser vestiti di solo bianco.
«Cerca di consolarti. Staremo meglio, ce l’hanno promesso».
Il ragazzo, seduto sul parapetto del ponte in pietra, non rispose. L’amico al suo fianco abbassò gli occhi, sospirando.
Si avvicinarono due persone: un corpulento signore in frac e un’anziana dal dolce sorriso. Camminavano insieme con lo sguardo rivolto all’orizzonte e le dita intrecciate.
Per rompere il silenzio e lasciar scorrere il tempo, il ragazzo continuò a tono più alto perché lo sentissero: «Sapete, io avrei voluto diventare un medico. Non per gloria, non per soddisfazione. Invero, per una sciocchezza: sin da bambino, ho sempre creduto che il modo migliore di far sorridere la gente fosse farla stare bene. Mi son dovuto ricredere».
«Sin troppo elementare, a mio avviso.» lo riprese il signore in frac, sollevando l’addome in un gesto d’altezzosa arroganza «Io avrei invece scalato i gradini della società per riportare la decenza, colto i sospiri dei miei vicini e portato i loro dolori al cospetto della Dea Giustizia per render finalmente onore a chi, fra i molti, ancora è onesto».
Il ragazzo lo interruppe e per ripicca chiese: «Invece, che accadde?».
Il corpulento omone si fece piccolo in un istante, fuggendo il suo sguardo e le ultime ombre del giorno.
«Ho avuto paura».
Nel silenzio freddo che calò su di loro, l’anziana si fece avanti muovendo l’orlo del lungo vestito e sollevando le dita sottili che parevano danzare nel pallore della sera.
«Io avrei invece portato la gioia con la mia musica. La sentivo cantare dentro di me, sussurrarmi di mondi la cui stravaganza non potreste neanche immaginare. Sentivo il suo calore tenermi compagnia nella solitudine della notte».
Il suo sorriso, dapprima così dolce, si vestì d’una tale malinconia che a stento divenne sopportabile alla vista. Nessuno dunque la vide piangere, mentre sussurrava: «Non ci si può permettere di regalare il proprio cuore al mondo, se nessuno è disposto ad ascoltare».
Dopo aver salutato con un cenno, i due fecero per allontanarsi, quando l’anziana chiese al ragazzo: «E lei? Ancora non ci ha detto perché ha rinunciato».
Lui si levò dal parapetto: «Credo sia abbastanza chiaro, a questo punto.» sentenziò, posando su di loro uno sguardo grigio: «In quel mondo, ciò che si desidera è totalmente irrilevante».
Un grido si levò nell’aria, e un altro a seguire. Tutti volsero gli occhi al lago, sospirando e richiamando il coraggio necessario.
«Eccola: la Luna Blu!».
Le folaghe si allontanarono leste mentre la nave si avvicinava. Impossibile dire se fossero le grandi vele ceree a spingerla o la forza d’un motore, scivolava sull’acqua senza alcun rumore; il rivestimento era di betulla ed il ventre sufficientemente gonfio da poterli accogliere tutti. Sulla prua, bianca contro il profilo della sera, la figura d’un uomo tendeva un braccio alla riva in un gesto amichevole quanto solenne. Nel solo sospiro del vento, lo videro sparire oltre la corona verde degli ulivi, all’estremo attracco del porto.
«Ci siamo: in marcia!».
Il signore corpulento fu il primo a lasciare la riva, ponendosi alla testa del corteo che, chi mesto e chi sereno, s’incamminava all’ultimo passaggio.
Mentre la folla scemava in un sordo brusio, i due ragazzi rimasero per ultimi. Quello che aveva parlato si aggiustò il gilet sulle spalle cercando di scacciare il dolore che gli serrava la gola. Rivolto all’amico, sussurrò: «Forza, andiamo».
Fece pochi passi, raggiungendo la riva, ché la risposta si perse nel frinire dei grilli.
«Io non verrò».
L’altro si arrestò e, cercando di trattenere la rabbia, gridò: «Non abbiamo altra scelta! Cosa credi, che le cose andranno comunque secondo i tuoi progetti o che il mondo si accorgerà di te? La Luna Blu è la nostra unica via».
Il giovane ancora seduto si alzò con uno scatto e si pose al centro del ponte, allargando le braccia.
«Se a voi sta bene così, se davvero avete tanto a cuore la sicurezza in cambio del vostro stesso tepore, allora andate! Se così avete deciso, se tutto questo per voi non è stato che una mera fantasia, allora salite su quella nave e cercate i colori che splendono sul fondo del lago! Io, però, la notte non l’accetto. Perché, sai…».
Guardò negli occhi il suo amico, suo fratello, e con la voce spezzata disse: «Io ho sempre sognato di essere felice. Ma qui, al vostro contrario, non lo sono».
Il ragazzo si volse e percorse i pochi passi che lo separavano dalla fortezza. Sentì il pianto scorrere nel vento, sulle sue labbra fioriva tuttavia un sorriso.
«Perciò, io scelgo di restare».
Con un boato il gigantesco portone si spalancò e una luce bianca lo avvolse. Era gelida, colma di incertezze e rimpianti; invero, era tutto ciò che desiderava.
E fu così, che si svegliò.

Giacomo Soraperra, Riva del Garda, 2018

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